MINORI STRANIERI SOLI AD AGRIGENTO. UNA RIFLESSIONE DAL CENTRO DI PRIMA ACCOGLIENZA DEL PROGETTO FAMI 17/43 IRIS
Agrigento sa di Africa. Quando si arriva alla stazione c’è quel caldo umido, intriso di salsedine, che ti da l’idea di essere vicini al Maghreb. Allora pensi che tutti questi ragazzi che arrivano dal mare si sentiranno a casa in un altro Sud del mondo. In realtà, Agrigento è spesso una città di passaggio per tutti loro, soprattutto con i cambiamenti che il sistema di accoglienza ha subito negli ultimi due anni.
Nel 2018, infatti, esistevano circa 22 centri di accoglienza per minori solo nella città di Agrigento, mentre oggi ne rimangono solo 13 in tutta la provincia. Grazie al progetto SAAMA, stiamo portando avanti un lavoro di rete anche su Agrigento, con l’implementazione della Cartella Sociale, l’avvio di tirocini extracurriculari e la costruzione della rete di imprese accoglienti, ma anche con il contatto costante e diretto con le istituzioni e il terzo settore locale. Per questo motivo ci sembra importante raccontare i territori su cui il progetto si muove e in cui vive e raccoglie narrazioni diverse.
Il progetto FAMI, finanziato con fondi Europei, è un centro di prima accoglienza per MSNA aperto dal 5 giugno 2018. Doveva scadere insieme agli ultimi 4 progetti FAMI rimasti, il 9 giugno 2020, ma tutti e 4 i progetti sono stati prorogati fino al 31 dicembre 2020.
Quando si arriva in struttura colpisce il panorama. Il centro, in cima alla città vecchia, domina una vista tra campagna e mare. L’orizzonte che si scorge sembra di nuovo il segnale positivo di un domani possibile. Eppure i ragazzi ospiti in questo centro rimangono poco.
Gli obiettivi dei progetti FAMI sono cambiati nel corso degli anni: prima gli operatori del centro erano affiancati da alcune ONG e OG come Save the Children insieme all’UNHCR, con un’attenzione particolare alla cartella personale del minore, simile alla Cartella Sociale ma più macchinosa. Queste sinergie tra vari attori avevano lo scopo di assicurare i diritti fondamentali dei minori soli che arrivavano, accoglienza in un luogo sicuro, tramite della richiesta di permesso di soggiorno e richiesta di asilo e diritto alla salute e all’educazione. Appena arrivati i minori soli iniziavano un percorso di alfabetizzazione utile al loro percorso di inserimento nella società di accoglienza. Tutto quello che riguardava le procedure di regolarizzazione veniva iniziano durante la loro permanenza nella struttura FAMI: superato il tempo di permanenza e già in possesso di un documento identificativo (cedolino della richiesta del permesso di soggiorno per minore età o l’attestato della richiesta di asilo C3) poteva essere inoltrata la segnalazione al servizio centrale per il trasferimento in uno SPRAR.
Da luglio ad ottobre 2018 è stato ridotto il numero di posti del progetto FAMI, da 50 a 25, e anche il personale è stato ridotto. Gli obiettivi del FAMI cambiano di nuovo con il nuovo governo di destra e il sistema accelera i trasferimenti. In 15 giorni gli operatori si trovano a dover effettuare le segnalazioni al servizio centrale che a volte rispondeva in poche ore. Il minore allora doveva essere orientato in poco tempo. Bisognava fare un’informativa legale e un colloquio psicologico molto veloce, senza la possibilità di potere approfondire rispetto alla sua situazione psico fisica di arrivo. In pochi giorni il minore veniva sballottato da un luogo all’altro, senza la possibilità reale di riprendere fiato. E con la grande incertezza, di non sapere dove realmente avrebbe potuto iniziare il suo percorso di inserimento sociale, lavorativo ed educativo.
Ma il territorio agrigentino è in continua evoluzione. Come le migrazioni internazionali. Con il nuovo cambio di governo, le informazioni errate che sono arrivate nei paesi di origine sulla sanatoria e dovuto alle buone condizioni metereologiche, gli sbarchi autonomi sono di nuovo aumentati in provincia e il numero dei posti del FAMI è di nuovo stato aumentato a 50, così come i tempi di permanenza sono stati di nuovo rallentati.
Il progetto FAMI, dal 5 giugno 2018 ad oggi, ha ospitato circa 570 minori soli, di cui circa 300 tunisini. In questo momento ospita ragazzi di varia origine, prevalentemente di origine ivoriana e del Bangladesh. Gli operatori e i ragazzi vivono quotidianamente assoggettati alla logica dell’emergenza, che non permette di seguire i ragazzi con vulnerabilità gravi. Il ragazzo che arriva, infatti, si orienta facendo un colloquio psico-legale e viene nominato un tutore: ma il ragazzo deve andare via molto celermente per cui c’è da chiedersi se questo non sia uno spreco di risorse. Non esiste la continuità in una frammentazione del percorso del ragazzo, che in tempo di COVID-19 deve affrontarne uno ancora più impervio.
Durante questo ultimo periodo di emergenza sanitaria, infatti, i 14 giorni di isolamento i minori soli li hanno passati sulla Moby Zazà o in altri centri di isolamento. Giovani in età 16/17 anni, soggetti altamente vulnerabili, trattati come adulti. In questo passaggio negli spazi di isolamento è venuto sicuramente a mancare uno spazio di tutela del minore, ma mancando informazioni certe sulle condizioni in cui vivono nei centri di isolamento, è stato difficile denunciare. Sembrerebbe un sistema contorto quello della tutela del minore, da un lato, a livello legale, il minore va tutelato. Dall’altro, il controllo dei flussi, tende a respingere questi giovani che arrivano da altri paesi.
Nel centro FAMI si respira però il senso della cura verso questi ragazzi. Il responsabile, Marcello Baio, mi racconta che i ragazzi inseriti il 13 marzo sono rimasti bloccati e andranno via a fine luglio. Per questo motivo, durante il lockdown si sono ritrovati a fare delle video chiamate con i tutori per capire come tutelarli in maniera adeguata, anche durante questo periodo di forti incertezze. Dunque, nonostante sia un luogo di prima accoglienza, di passaggio, la cura del minore rimane al centro. Marcello ci racconta che 15 giorni, materialmente, sono pochissimi per poter completare una scheda di valutazione esaustiva di un minore e nonostante loro cerchino di essere scrupolosi, è difficile individuare i ragazzi con particolari bisogni e vulnerabilità. “Riusciamo a ritagliarci dei momenti con loro, soprattutto negli spazi di socializzazione, soprattutto la colazione, il pranzo e la cena in cui riusciamo ad avvinarci di più a loro. Ci sono certamente delle carenze da parte del centro, soprattutto nella gestione dei servizi per tutti e 50 i ragazzi. Ma gli operatori cercano di non perdere l’individualità di ognuno di loro, per scostarsi dall’approccio del grande centro di accoglienza. La cosa più difficile è spesso quella di far capire ai ragazzi che la destinazione del trasferimento non viene decisa dallo staff, e quindi questo può generare malcontento”.
Rimane dunque il forte dubbio su come continuare a fare accoglienza, con tutte le problematiche da affrontare e la frammentazione dei percorsi dei ragazzi. Il dialogo tra i vari attori presenti sul territorio, la costruzione di un capitale sociale solido che possa sostenere questi ragazzi anche a distanza, sono alcuni degli obiettivi che il progetto SAAMA non perde di vista.
Proprio perché esistono determinate problematiche sul territorio e ascoltando i bisogni e i dubbi che gli attori locali ma anche i ragazzi minori soli espongono quotidianamente, nel post-COVID-19, con SAAMA, ci siamo rimessi in moto con ancora più voglia di portare avanti, tutti insieme, l’idea di un domani possibile.
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SAAMA è finanziato dal bando nazionale Never Alone 2018, “Verso l’autonomia di vita dei minori e giovani stranieri che arrivano in Italia soli”, promosso da Fondazione Cariplo, Compagnia di San Paolo, Fondazione con il Sud, Enel Cuore, Fondazione CRT, Fondazione CRC, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, Fondazione Peppino Vismara e J.P. Morgan, nell’ambito di Epim – European Program for Integration and Migration, e Ner Alone – Building our Future with children and youth arriving in Europe.
SAAMA si pone in continuità con il Progetto Ragazzi Harraga – Processi di inclusione sociale per minori migranti non accompagnati nella città di Palermo, finanziato dal primo bando nazionale Never Alone 2016, e mette a frutto, implementandoli e diffondendoli su altri territori, i risultati raggiunti nella città di Palermo grazie a quella esperienza.